La coppia di fatto

Nel nostro ordinamento giuridico, la convivenza more uxorio,per quanto sempre più diffusa e socialmente riconosciuta, non produce gli stessi effetti giuridici del matrimonio. La differenza più significativa emerge proprio nel momento della crisi: quando una coppia non sposata si separa, nessuno dei due partner ha diritto a ricevere un assegno di mantenimento dall'altro.

Questa sostanziale differenza rispetto alle coppie sposate trova fondamento nella natura stessa del rapporto di convivenza, che non crea quei vincoli di solidarietà economica post-coniugale che caratterizzano invece il matrimonio. Mentre nella separazione e nel divorzio la legge prevede espressamente la possibilità di riconoscere un assegno di mantenimento o divorzile al coniuge economicamente più debole, tale tutela non si estende ai conviventi di fatto

La ratio di questa differenziazione risiede nel fatto che la scelta di non sposarsi implica, nella valutazione del legislatore, anche la volontà di non assumere quegli obblighi di assistenza economica reciproca che perdurano oltre la cessazione della vita comune. Il matrimonio comporta infatti una comunione di vita che genera diritti e doveri che sopravvivono alla crisi, mentre la convivenza, pur potendo essere caratterizzata da analoga intensità affettiva e condivisione, non produce automaticamente tali effetti giuridici duraturi.

Il quadro muta completamente quando dalla coppia non sposata sono nati dei figli. In questo caso, la cessazione della convivenza fa sorgere precisi obblighi di mantenimento, non già tra i partner, ma nei confronti della prole comune. La Costituzione all'articolo 30 e il Codice civile garantiscono infatti che l'obbligo di mantenimento dei genitori verso i figli permane in caso di separazione, divorzio o cessazione della convivenza.

La tutela dei figli nati fuori dal matrimonio

La fine di una convivenza more uxorio che ha visto nascere dei figli pone questioni delicate che il nostro ordinamento affronta con particolare attenzione. È fondamentale comprendere che la legge italiana garantisce ai figli nati fuori dal matrimonio la stessa tutela e gli stessi diritti riconosciuti ai figli di genitori coniugati.

Quando una coppia non sposata si separa, le questioni relative all'affidamento, al mantenimento e alla gestione dei rapporti con i figli seguono infatti le medesime regole previste per la separazione dei coniugi.

Per le coppie non sposate che si separano, il tribunale competente è quello ordinario nella sua composizione collegiale, sezione famiglia. I genitori possono presentare un ricorso congiunto, proponendo soluzioni concordate sull'affidamento, sui tempi di permanenza presso ciascun genitore, sul mantenimento e su tutti gli altri aspetti relativi alla vita dei figli.

In alternativa, quando non vi è accordo, uno dei genitori può presentare ricorso in via contenziosa. Il giudice, dopo aver ascoltato le parti e, se necessario, i minori che abbiano compiuto dodici anni o anche di età inferiore se capaci di discernimento, adotterà i provvedimenti più idonei nell'interesse dei figli.

Gli aspetti economici del mantenimento dei figli di coppie non sposate

Anche per i figli di genitori non coniugati valgono i medesimi principi in materia di mantenimento. Entrambi i genitori sono tenuti a contribuire in proporzione alle proprie sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo. Il giudice stabilisce l'importo dell'assegno di mantenimento considerando le esigenze del figlio, il tenore di vita goduto durante la convivenza, i tempi di permanenza presso ciascun genitore e le risorse economiche di entrambi. 

Il contratto di convivenza

Per le coppie non sposate che desiderano regolare gli aspetti patrimoniali della loro vita insieme, la Legge n. 76/2016 ha introdotto uno strumento flessibile ed efficace: il contratto di convivenza. 

Chi può stipulare il contratto?

La legge definisce i "conviventi di fatto" come due persone maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale.  Un requisito fondamentale per poter stipulare un valido contratto di convivenza è che le parti non siano vincolate da precedenti rapporti di matrimonio o da un'unione civile, né da legami di parentela, affinità o adozione. Il professionista (notaio o avvocato) incaricato della redazione o dell'autenticazione dell'atto è tenuto a verificare lo stato libero delle parti.

Cosa si può regolare con il contratto di convivenza?

Questo strumento permette di definire in anticipo aspetti cruciali della vita a due. Il contenuto del contratto può includere:

  1. L'indicazione della residenza comune;
  2. Le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune;  
  3. Il regime patrimoniale
  4. Le modalità di definizione dei rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza.

Forma e Pubblicità: come si stipula e come acquista efficacia

La legge richiede che l'accordo sia stipulato tramite atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizioni autenticate da un notaio o da un avvocato. Questi professionisti hanno il dovere di attestare la conformità dell'accordo alle norme imperative e all'ordine pubblico.

Affinché il contratto e l'eventuale regime di comunione dei beni siano opponibili ai terzi (ad esempio, i creditori), il professionista incaricato deve trasmetterne una copia all'anagrafe del Comune di residenza dei conviventi per l'iscrizione.


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