Gli immobili in comproprietà...
Vivevamo in così tanti in una casa così piccola che l'eco aveva solo una sillaba..
- Mel Brooks

Peder Severin Krøyer - Hip, Hip, Urrà! (1888)
Trovarsi a condividere la proprietà di un immobile con altre persone è una situazione molto comune, che può nascere da un acquisto congiunto, come nel caso di una coppia, o più frequentemente da una successione ereditaria tra fratelli. Questa condizione, nota come comproprietà (o comunione), significa che ogni titolare possiede una "quota" ideale dell'intero bene, non una porzione fisica specifica. Gestire questa condivisione richiede collaborazione, ma la legge fornisce regole chiare per disciplinare i diritti e i doveri di ciascuno, oltre a una via d'uscita qualora la convivenza diventi insostenibile.
L'utilizzo del bene in comproprietà
Il principio fondamentale che regola l'uso di un bene in comproprietà è tanto semplice quanto delicato: ogni comproprietario ha il diritto di utilizzare l'immobile nella sua interezza, a condizione che non ne alteri la destinazione economica (ad esempio, trasformando un'abitazione in un ufficio senza il consenso degli altri) e, soprattutto, che non impedisca agli altri di fare altrettanto.
Questo significa che un co-proprietario può decidere di abitare nell'immobile comune, ma se un altro manifesta la stessa intenzione, sarà necessario trovare un accordo. Questo potrebbe tradursi in un uso turnario oppure, più comunemente, nel versamento di un'indennità di occupazione da parte di chi utilizza il bene in via esclusiva a favore di chi ne è escluso. Lo stesso principio si applica se si decide di affittare l'immobile: la decisione deve essere condivisa e i canoni di locazione andranno divisi tra tutti i proprietari in base alle rispettive quote.
La ripartizione delle spese
Come per i diritti, anche gli oneri vengono condivisi. La regola generale è che tutte le spese relative all'immobile devono essere suddivise tra i comproprietari in proporzione alle loro quote di proprietà. È importante però distinguere tra diverse tipologie di spesa.
Le spese per la conservazione del bene, come il pagamento delle imposte (ad esempio l'IMU), le riparazioni necessarie al tetto o le spese condominiali ordinarie, sono obbligatorie per tutti. Se uno dei comproprietari anticipa il pagamento per intero, ha il diritto di chiedere agli altri il rimborso della loro parte.
Diverso è il discorso per le spese di miglioramento, ossia quelle non strettamente necessarie ma volte ad aumentare il valore o la godibilità dell'immobile, come la costruzione di una piscina o l'installazione di un impianto di climatizzazione. In questo caso, un singolo comproprietario non può decidere autonomamente e poi pretendere che gli altri contribuiscano. Tali innovazioni richiedono il consenso della maggioranza e, in mancanza, chi le realizza lo fa a proprie spese.
La divisione
Nessuno può essere costretto a rimanere in una situazione di comproprietà contro la propria volontà. Il diritto di chiedere la divisione è infatti imprescrittibile e può essere esercitato in qualsiasi momento da ciascun contitolare. Le strade per arrivare alla divisione sono principalmente due.
La soluzione più semplice e auspicabile è la divisione consensuale. In questo caso, tutti i comproprietari trovano un accordo e si recano da un notaio per stipulare un contratto di divisione, con il quale si scioglie la comunione e si assegnano le porzioni del bene o i conguagli in denaro.
Quando invece l'accordo manca, la strada da percorrere è quella della divisione giudiziale. Prima di poter avviare una causa in tribunale, però, la legge impone un passaggio fondamentale e obbligatorio: il tentativo di mediazione. Si tratta di una procedura in cui un mediatore imparziale tenta di facilitare un accordo tra le parti. È cruciale che a questo incontro vengano convocati formalmente tutti gli altri comproprietari. Solo se la mediazione non va a buon fine e si conclude con un verbale negativo, chi desidera la divisione potrà procedere con l'azione legale.
Una volta avviata la causa in tribunale, il giudice valuta innanzitutto se l'immobile sia comodamente divisibile in natura, ovvero se possa essere frazionato in parti corrispondenti alle quote di ciascuno (ad esempio, una grande villa bifamiliare o un terreno). Se la divisione fisica è possibile, si procede in tal senso.
Se, come spesso accade per un appartamento, l'immobile non è divisibile, il giudice valuta altre opzioni. Potrebbe assegnare l'intero bene al comproprietario che ne faccia richiesta e che abbia la capacità economica di liquidare gli altri, pagando loro il valore delle rispettive quote. Se nessuno può o vuole acquistare le quote altrui, l'unica strada rimasta è la vendita all'asta dell'immobile. Il ricavato della vendita verrà poi diviso tra i comproprietari, ponendo così fine, in modo definitivo, alla comunione.
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