La Multiproprietà

Pago la mia quota annuale con la stessa rassegnazione con cui gli antichi pagavano un tributo a un dio crudele e incomprensibile. In cambio, non ottengo né salvezza né prosperità, ma solo il diritto di scoprire che il mio letto è stato usato da qualcuno che ha lasciato le briciole dei cracker.
- Woody Allen

Gustave Caillebotte - Giovane uomo alla finestra (1876)

L'istituto della multiproprietà rappresenta una particolare figura giuridica che attribuisce a più soggetti il diritto di essere proprietari di uno stesso immobile, godendone in modo esclusivo ma a turno, per un periodo di tempo definito e ricorrente ogni anno.

La sua disciplina fondamentale non risiede nel codice civile, ma è contenuta nel codice del consumo. Viene qualificato come un contratto di durata superiore a un anno con cui un consumatore, a titolo oneroso, acquisisce un diritto di godimento su un alloggio per più di un periodo. Tale normativa, di matrice europea, mira principalmente a proteggere l'acquirente-consumatore. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti tendono a inquadrare la multiproprietà immobiliare nell'ambito della comunione, sebbene con la peculiarità di un regolamento che ne organizza il godimento turnario. Questo diritto, se configurato come reale, è perpetuo e può essere trascritto nei registri immobiliari, rendendolo opponibile ai terzi. Esistono diverse forme tecniche per realizzare questo scopo, come la multiproprietà immobiliare "reale", in cui si acquista una quota di comproprietà, o la multiproprietà "azionaria", dove l'acquisto di un pacchetto di azioni di una società proprietaria del bene conferisce un diritto personale di godimento.

Sebbene riconducibile alla comunione, la multiproprietà si differenzia in modo sostanziale dalla comproprietà ordinaria disciplinata dagli artt. 1100 e seguenti del codice civile. Nella comproprietà, infatti, ogni partecipante ha la facoltà di utilizzare il bene comune in qualsiasi momento, a condizione di non impedirne l'uso agli altri. Al contrario, il multiproprietario ha un diritto di godimento pieno ed esclusivo, ma circoscritto al suo specifico turno temporale. Un'altra differenza fondamentale risiede nell'impossibilità, per il multiproprietario, di chiedere lo scioglimento della comunione, a differenza del comproprietario ordinario che può farlo in ogni momento. Questa indivisibilità è un carattere strutturale della multiproprietà, essenziale per garantirne la funzione.

Una delle questioni più spinose e dibattute riguarda l'impossibilità per il singolo di rinunciare alla propria quota. Mentre nella comunione ordinaria l'articolo 1104 del codice civile consente al comproprietario di liberarsi dall'obbligo di contribuire alle spese rinunciando al proprio diritto, tale facoltà è generalmente negata nel contesto della multiproprietà. La giurisprudenza ha chiarito che un atto di rinuncia unilaterale non sarebbe ammissibile, poiché non si limiterebbe a espandere le quote degli altri titolari, ma andrebbe ad alterare la loro sfera patrimoniale, gravandoli di oneri di gestione aggiuntivi per il periodo rimasto vacante senza il loro consenso. Di conseguenza, l'abbandono della quota non è una via percorribile per sottrarsi alle spese, e l'unica soluzione per dismettere la titolarità del diritto rimane la sua alienazione a terzi tramite vendita o donazione.

Le criticità in merito alla gestione di questi immobili sono, purtroppo, molto frequenti nella pratica. Spesso i multiproprietari, con il passare del tempo, perdono interesse a fruire del bene ma restano vincolati al pagamento perpetuo delle spese di gestione. Ciò innesca un diffuso fenomeno di morosità, che a sua volta genera un circolo vizioso: per far fronte agli ammanchi, l'amministratore si trova costretto ad aumentare le quote a carico dei proprietari adempienti, aggravando la loro posizione. A ciò si aggiunge la difficoltà di esercitare un controllo efficace sull'operato della società di gestione, data la frammentazione della proprietà e la distanza fisica dei titolari. Questa situazione può creare un terreno fertile per una gestione poco trasparente, con un aumento ingiustificato dei costi e, in alcuni casi, una vera e propria mala gestio che trasforma l'investimento iniziale in un onere economico di difficile gestione.

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